"Dove c'è dualismo, c'è il mondo fenomenico; dove si trascende il dualismo e ci si stabilisce saldamente nel cuore dell'Unità, in quell'Uno che è senza secondo - Ekam Evadvitiyam - c'è beatitudine, immortalità, eternità, c'è la Realtà che trascende le apparenze e le illusioni dei sensi e gli inganni della mente. Ora, la strada maestra che ci può condurre a questa immortalità e a questa beatitudine è la meditazione profonda, la vita interiore, I'interiorizzazione, che scruta sempre piú a fondo nelle insondabili profondità della Coscienza e ci guida sino alla consapevolezza del Sé, sino a toccare, gustare e realizzare il Sé cosmico, la Mente universale, l'Intelligenza illimitata, il Divino, il Dio-in-noi".

(P. Anthony Elenjimittam, "Meditazione per la Realizzazione de Se")

"Con l’intelletto superiore fermo e risoluto, deve progressivamente trascendere ogni attività, portare la mente sul Sé e non immaginare nessun altro dato".
(Bhagavadgita, cap. VI/25)

Padre Anthony tende a stimolare la crescita spirituale dell’individuo attraverso la pratica, lo studio e la meditazione della quintessenza delle diverse tradizioni spirituali, ossia gli insegnamenti delle Scritture e dei grandi maestri mistici.

L’argomento principale di quest’intervista è l’autorealizzazione dell’uomo con l’aiuto della grazia divina.

Vincenzo si è recato ad Assisi due volte, aprile e luglio del 2009; è stato ospite per alcuni giorni nella Missione Sat Cit Ananda, dove ha posto a Padre Anthony diverse domande circa la vita interiore, la realizzazione spirituale dell’aspirante e la sua concezione religiosa. Egli lo ha risposto volentieri e con una prontezza eccezionale.

L’intervista è durata alcuni giorni con due sedute giornaliere, una mattutina e l’altra serale, P. Anthony riceveva Vincenzo nella stanza dei convegni e della meditazione, un ampio locale non lontano dal centro della città.

1 - I quattro stati di coscienza: veglia, sogno, sonno profondo e stato estatico.

Vincenzo - Quale è la differenza tra stato di veglia, sonno e sogno profondo?

Anthony - Quando dormi il sogno ti sembra il mondo reale, ma al risveglio ti accorgi che quel sogno era solo illusione, perché sei entrato nello stato di veglia, che noi crediamo sia la realtà.

In effetti anche lo stato di veglia è un’illusione della coscienza, perché mentre il sogno è animato dalla mente, lo stato di veglia è animato dai sensi. Al di là della mente e dei sensi si trova la coscienza profonda, ossia la cosiddetta coscienza universale, saccid?nanda, che è uno stato di coscienza-beatitudine; finché non dimoreremo in essa continuiamo a vivere nel mondo illusorio della maya. Il sonno profondo senza sogni è simile a questa coscienza-beatitudine: viene chiamato «terzo stato di coscienza». È lo stato di Verità perché la mente cessa di funzionare e sparisce il «senso dell’io», mentre nello stato di veglia e di sogno si sperimenta il «senso dell’io».

V - Ho notato che anche quando dormo profondamente c’è una certa minima vigilanza del Sé, l’autosservazione, è possibile questo?
A - Sí, sí, quando si instaura la forte abitudine interiore alla vigilanza anche durante il sogno si ha una specie di veglia, perché, come abbiamo detto, sogno e stato di veglia sono pressappoco uguali.

V - Vuoi dire che quando noi viviamo durante il giorno, “da svegli”, è come se sognassimo?
A - Sì, in effetti è così: durante il sogno è la mente che è attiva, nello stato di veglia sono i sensi attivi, in ambedue i casi si vive una dimensione illusoria.

Poi c’è un quarto stato che va oltre i tre descritti.

Noi possiamo sperimentarlo solo per mezzo della meditazione, grazie alla quale abbiamo la possibilità di trascendere la vita dei sensi e della mente approdando all’esperienza del turya.

Quindi i tre stati, quello di veglia, di sogno e di sonno profondo, appaiono sotto la triplice forma grossolana, sottile e causale, mentre con il quarto stato, dove la mente ed i sensi funzionano pochissimo, si realizza l’approccio al Sé, che avviene per mezzo della meditazione profonda. A questo punto si realizza la vita divina.

Nello stato estatico si diventa unificati con la realtà ontologica, ossia con la coscienza illuminata, di esso ce ne parla san Paolo in una delle sue Epistole ai Corinti, in cui dice:

«Io conosco un tale che fu rapito al terzo cielo non so se dentro o fuori del corpo, solo Dio lo sa. San Paolo ci parla di quest’esperienza ineffabile».

V - Infatti l’apostolo dice: «Quando caddi da cavallo vidi il nulla e nel nulla c’era Dio».

San Paolo ha sperimentato il vero nulla, alludendo alla coscienza del Sé.
Dopodiché l’apostolo rinacque a se stesso.

A - Siamo tutti esiliati su questa terra, solo trascendendo la mente per mezzo dell’intelligenza, potremo trovare la nostra identità, ossia la nostra vera patria, che è il Regno di Dio dentro di noi.

2 - La morte e la coscienza

V - Quale significato dai alla nascita e alla morte?
A - Quando giunge il tempo di lasciare il corpo grossolano, il nostro corpo sottile porta con sé tutto il bagaglio del passato e dell’ultima vita che abbiamo vissuto.

Nel momento della nascita il nostro corpo sottile assume un corpo grossolano, con la morte invece avviene il processo inverso, il corpo sottile lascia quello grossolano.

Più tardi, secondo la legge del karma, esso si veste di un altro corpo, finché, dopo numerose nascite e morti, quando avrà raggiunto la perfezione, non avrà più bisogno del corpo grossolano. Allora saremo come gli angeli, che non hanno bisogno del corpo fisico, cioè saremo perfetti e non avremo più bisogno del corpo grossolano, ci rimarrà solo quello sottile. Meglio però vivere nel presente e nell’immediato futuro senza fare troppe speculazioni.

V - Il quarto stato di coscienza, il turya, è paragonabile allo stato del corpo sottile quando lascia il corpo?
A - No, perché il quarto stato di coscienza avviene nel corpo grossolano, mentre quando si lascia quest’ultimo si vive solo nel corpo sottile, che è altra cosa. Quando viviamo nel corpo grossolano possiamo sperimentare il turya, così come sperimentiamo quasi lo stato di sonno profondo.

Solo pochi aspiranti maturi, eletti da Dio, possono sperimentare sulla terra lo stato del vero turya, mentre i comuni meditanti possono solo avvicinarsi a una simile condizione. È già una grazia poter restare qualche minuto senza pensieri.

V - Noi siamo guidati dalla coscienza?
A - Solo la coscienza purificata può guidarci bene, ma quelli che vivono in preda al mondo dei sensi non sono in grado di comprendere ed intuire questa verità.

Costoro restano sottoposti all’ignoranza e al peccato, mentre chi non è sottoposto al dominio dei sensi non vive nel peccato, riconosce subito i suoi errori e cerca, come può, di correggersi e di migliorare. La realtà è quella sottile e non quella grossolana. Solo coloro che raggiungono una coscienza purificata e sottile comprendono questa realtà.

Anche i più grandi santi, all’inizio della loro vita spirituale, non erano in grado di seguire i moti della coscienza perché subivano ancora il richiamo dei sensi.

Sant’Agostino, all’età di diciotto anni, ebbe un rapporto con una ragazza, che poi ebbe un figlio. Nella sua gioventù la sua coscienza era addormentata; lui scambiava il sonno illusorio dei sensi per la realtà. Ma dopo il suo risveglio spirituale egli si rivolse a Dio e, pieno di rimpianto, gli disse: «Troppo tardi ti ho conosciuto».

Santa Monica, sua madre, si sentiva disperata a causa della condotta immorale del figlio, allora si recò dal vescovo di Milano, che a quel tempo era sant’Ambrogio, pregandolo di convincere suo figlio di redimersi dalla vita immorale che conduceva. Siccome lei era una donna piena di virtù così si espresse: «Preferisco vedere il cadavere di mio figlio in una bara anziché vederlo morto alla vera vita».

Ella voleva dire che suo figlio viveva in uno stato di sonno incosciente e, in quella condizione, faceva tutto il male possibile a se stesso ed agli altri.

Ma, più tardi, quando per grazia di Dio la sua coscienza si risvegliò senza più essere soggiogata dai sensi e dai pensieri, sant’Agostino divenne un uomo molto saggio.

3 - I grandi saggi e la perfezione spirituale

V - Come hanno raggiunto la liberazione i grandi saggi?
A - Quando il mondo della mente viene trasceso grazie alla meditazione assidua e costante e l’effetto delle illusioni, dello stato di veglia, dei sogni e dei sensi diminuisce, allora giungiamo al sonno profondo della Verità. Il lavoro che l’aspirante alla realizzazione deve condurre è appunto la meditazione.

L’importanza dell’esperienza meditativa ci viene confermata dalla testimonianza dei grandi saggi dell’India: Ramana Maharshi, Ananda May Ma, Hare Krisna, Ramakrisna e tanti altri.

Ho vissuto una settimana nell’Asram di Ananda May Ma (la Madre permeata di gioia)

ed ho potuto constatare che da tutta la sua persona sprigionava la coscienza divina.

V - Conosci anche Maestro Raphael?
A - Sì, l’ho conosciuto personalmente, è venuto qui due volte, ha un Asram vicino Rieti. È un Asram ideale, tra le colline, tutto chiuso, dove vivono e lavorano circa dieci persone, come ben mi ricordo. Il nome iniziatico di Maestro Raphael è “Aquilante”.

Egli è uno dei pochi e assidui ricercatori della perfezione spirituale, di quelli assai rari in questo mondo, perché pochi in verità sono quelli che si chiedono: «Chi sono io? cosa faccio in questo mondo? perché sono venuto qua?».

V - Quindi sono veramente poche le anime che aspirano a percorrere le difficili vie dello spirito?
A - La moltitudine delle persone pensa a procreare, a soddisfare le esigenze dei sensi e gli istinti animali del corpo grossolano. Pochi comprendono che siamo stati inviati sulla terra per purificarci dalle esistenze passate e completarle in vista della beatitudine finale. Noi siamo stati esiliati per imparare a ritornare in patria, in tal senso siamo istruiti ogni giorno dal Signore. Il nostro compito è quello di prepararci all’ascolto della sua voce facendo silenzio intorno a noi, purificandoci. Per apprendere queste profonde verità occorre studio, riflessione, meditazione e capacità di seguire la nostra coscienza, conseguentemente Dio ci aprirà la porta della saggezza e saremo in grado di ascoltare la sua voce che ci istruisce tramite la nostra coscienza. Nei salmi leggiamo: «O Signore beato è colui che viene istruito da te». E Gesù dice: «La verità ci farà liberi» e, ancora: «Molti sono i chiamati, ma pochi sono i prescelti» .

Pochissime sono le anime perseveranti che con vera determinazione ricercano il divino nella propria anima, dicendo a se stessi: «Non mi fermerò finché non l’avrò trovato».

V - Vuoi dire che molti vivono secondo i sensi e pochi tentano di vivere secondo l’intelligenza?
A - Sì, perché Dio ha dato la possibilità a tutti di scegliere se vivere secondo i sensi o secondo l’intelligenza, che Egli ha donato a tutti gli esseri umani. Perché tramite la mente si può salire verso l’intelligenza suprema e quindi al Sé, o si può scendere sempre più verso il mondo animale dei sensi, e delle illusioni ad essi collegati, i quali tengono prigioniera la mente. Infatti la mente e al centro tra i sensi e l’intelligenza, essa può unirsi con i sensi e scendere sempre più in basso fino alla più grandi depravazioni, fino al cosiddetto inferno, oppure può unirsi all’intelligenza, scartando la vita dei sensi, e ascendere verso le vette spirituali alla ricerca di Dio.

Perciò è assolutamente necessario, da parte del ricercatore, essere perseverante nella pratica spirituale per raggiungere lo scopo finale dell’esistenza.

V - Come si può vivere secondo l’intelligenza?
A-Tramite la pratica assidua delle quattro P: Preghiera, Perseveranza, Pazienza e Purezza, così impareremo ad elevarci alla vita divina fuori dal mondo fenomenico.

Questo ho insegnato ai bambini emarginati che ho raccolto nella missione di Bombay.

V - Cosa significa concretamente “elevarci alla vita divina”?
A- Significa fare ritorno alla Casa del Padre, cioè ritornare alla purezza originale che è la coscienza di Dio.

V- Cosa possiamo fare per ritornare alla coscienza di Dio?

Per ritornare alla coscienza di Dio, avendo per fondamento la pratica delle quattro P. di cui abbiamo parlato, bisogna praticare lo yoga classico per fermare il movimento della mente fluttuante al quale siamo abituati fin dalla nascita. Le forme degli yoga tradizionali: Bhakti, Karma, Jana, aiutano al raggiungimento di questo fine.

In tal modo scopriremo che dietro il movimento mentale esiste la coscienza pura di Dio e perciò il nostro compito è calmare la mente per ritrovare la pura consapevolezza del Sé interiore.

Bisogna andare oltre ogni identificazione, oltre l’essere e il non essere. Una volta eliminata la tendenza della mente all’agitazione dei pensieri e delle passioni, quando questa finalmente si acquieta, troviamo la coscienza di Dio.

V - Maestro Eckhart dice più o meno così: « Paolo si alzò da terra e con gli occhi aperti vide il nulla. Egli vide il puro nulla è quello era Dio».
A - Sì, “il puro nulla” sarebbe la coscienza divina o il cosiddetto “vuoto pieno”.

V - San Giovanni della Croce dice: «Nel nulla c’è tutto».
È vero che durante il cammino spirituale bisogna vegliare sui cosiddetti inganni spirituali?

A - Sì, bisogna stare molto attenti, san Paolo dice: «Il diavolo prende le sembianze di un angelo illuminato».

Nell’anima dell’uomo convivono due voci, quella di Dio e quella satanica.

La voce satanica si manifesta innanzitutto nelle anime che tendono alla perfezione spirituale, soprattutto quando esse continuano nella ricerca spirituale con volontà adamantina. Invece per le anime comuni non c’è bisogno delle tentazioni sataniche perché esse, praticando una vita esclusivamente materiale e sensuale, non vanno soggette agli inganni spirituali.

V - Quando hai citato gli yoga tradizionali: Bhakti, Karma e Jana, non hai però citato
il Raya Yoga, che è il più importante, perché? Inoltre vorrei sapere quale è il fine dello yoga?

A - Il Raja Yoga di Patanjali, condensato in 196 aforismi (che potremo leggere in quattro pagine), è la madre di tutte le forme di yoga. Dove c’è la madre, ci sono pure i figli e viceversa, per tale ragione non l’ho citato. Il Raya Yoga di Patanjali mi sorregge nella vita spirituale e divina. Lo yoga tradizionale ha come fine l’unione con Dio, ma per giungere a tale vetta bisogna prima ritornare alla pura Coscienza dell’anima facendo cessare le modificazioni mentali, in tal modo si raggiungerà la piena consapevolezza; lo stato supremo di Coscienza, Esistenza e Beatitudine (Sat Cit Ananda), che è la vita in Dio.

Con la meditazione ci liberiamo di tutte le modificazioni mentali entrando così nel santuario della coscienza pura e assoluta, ossia l’Esistenza Universale.

I saggi e i grandi filosofi ne hanno fatto esperienza. Plotino ha sperimentato lo statoestatico profondo tre volte, il suo discepolo Porfirio ha fatto questa sublime esperienza una volta. Anche san Paolo ha avuto l’esperienza di Dio una volta, come egli stesso racconta nella sua seconda epistola ai Corinti (XII 1-5).

Io stesso, durante una meditazione di oltre due ore, qui ad Assisi, fui immerso per un attimo nell’Oceano della pura Coscienza, che è Dio. Allora il mondo esterno scomparve ed io stesso, come individuo, non esistevo più. Quell’esperienza indimenticabile è ancora viva e fresca in me. Con queste esperienze dello spirito noi realizziamo l’insegnamento di Shankara[1] quanto dice: «Brama Satyam, Jaganmithya, Jivo deiviva na apara», che significa: «La sola Realtà-Esistenza è Dio: l’universo è solo un’apparenza. L’anima è identica con Dio, non è mai separata da Lui».

Gesù Cristo, che aveva raggiunto l’apice dell’unione con Dio, poteva camminare sull’acqua, guarire gli ammalati e resuscitare i morti.

4 - La Chiesa ufficiale, il Papa e la quintessenza delle religioni

V - Cosa pensi della Chiesa ufficiale e delle religioni in generale?
A - La vera e unica religione dovrebbe consistere nel miglior condensato della spiritualità di tutte le religioni, ossia “la quintessenza delle religioni[2]”. Il fondamento di esse si può sintetizzare nelle parole di Socrate:«Conosci te stesso, purifica te stesso, realizza te stesso», che significa: autocatarsi, autoconoscenza, autorealizzazione. Con l’autocatarsi si elimina ciò che è negativo in noi, allora, come insegna Buddha, si cerca sempre più di evitare il male e fare sempre il bene, affinché risplenda in noi l’anima divina.

V- Sarebbe come pulire uno specchio affinché ci si possa ben specchiare?
A - Sì, esattamente così, purificarsi affinché emerga in noi il Sé, l’essenza di Dio.

Il nostro cammino spirituale non è quello che ci insegna il dogma della Chiesa ufficiale, secondo il quale Dio crea un’anima quando l’uomo e la donna si uniscono e così via….

Ma questo dobbiamo comprenderlo alla luce dell’insegnamento delle altre grandi tradizioni spirituali come il buddhismo e l’induismo.

Ho scritto un libro circa l’armonia tra le religioni, s’intitola appunto: “La Quintessenza delle religioni”, per il quale ho ricevuto una borsa di studio in Inghilterra. In questa pubblicazione ho fatto presente, appunto, che non c’è senso nella lotta tra le religioni, ma, per il bene dell’umanità esse dovrebbero trovare l’armonia nel minimo comune denominatore della saggezza e della spiritualità.

Per progredire spiritualmente bisogna innanzitutto abbeverarsi alle fonti di saggezza classica come alle Upanisad e ai libri sapienziali dell’Antico testamento: i Proverbi, l’Ecclesiaste, Siracide, nonché i Vangeli e le Lettere di san Paolo.

Bisognerebbe scegliere tra queste Scritture sapienziali quelle che più ci aiutano ad innalzarci alla dimensione divina, sgombrando la mente dai dogmi delle religioni autoritarie.

V - Nel Vaticano, in questi ultimi anni, Papa Ratzinger sta facendo molta politica per proteggere i partiti conservatori, addirittura li benedice contro l’altra parte degli italiani, ti sembra normale?
A - No!, no, (padre Anthony ride) io non penso nemmeno a queste cose. Questo Papa ha anche scomunicato don Mazzoleni, un prete che ha scritto un libro intitolato: “Un sacerdote che incontra Sai Baba”. Siccome molti desideravano conoscere Sai Baba, che era diventato molto popolare, anche don Mazzoleni andò da lui perché voleva studiarne la spiritualità, allora Ratzinger lo ha subito scomunicato e i vescovi lo hanno perseguitato. Egli si ammalò, stette meglio e andò di nuovo da Sai Baba, dopo poco morì. Su questa vicenda Silvia Mazzoleni ha scritto un altro libro: “Storia di una scomunica”, di cui ho curato un’introduzione.

V- Ma questo Papa ha scomunicato molta gente?
A- Non gradisco nemmeno sentire parlare di lui, questo modo di fare è chiamato Cesare-papismo. Costantino lasciò quasi mezza Italia in mano ai papi. Le persecuzioni della Chiesa cattolica contro migliaia e migliaia di persone ritenute eretiche non si contano: i Catari e gli Albigesi furono trucidati a migliaia. Più tardi ci fu l’Inquisizione, la persecuzione dei mistici, ecc. .

La Chiesa ufficiale ha ereditato il fariseismo, il quale si mostra ancora chiaramente nei nostri tempi; Gesù stesso si ribellò contro i farisei.
Ma io seguo solo la volontà del Signore e faccio il mio lavoro e basta.

V - Infatti tu hai scritto nel volume primo di “Meditazioni per ogni giorno”, che è opportuno seguire l’insegnamento della Chiesa all’inizio del cammino spirituale, ma poi, quando il credente matura spiritualmente entra in contrasto con il dogmatismo ecclesiale. Per questo motivo le gerarchie ecclesiali temono i credenti che hanno raggiunto un livello maturo di spiritualità.
A -Sì, tra gli scomunicati ci fu anche il sacerdote gesuita indiano Anthony De Mello; perfino i protestanti sono molto più aperti all’interreligiosità.

V- La Chiesa cattolica dichiara l’infallibilità del Papa, tu credi a questo?
A - No! assolutamente, perché non è un’autorità esterna che può dare la fede; noi dovremmo solo fare silenzio e ascoltare la voce interiore di Dio che ci parla. Nel libro di mistica “Imitazione di Cristo”, nel secondo capitolo è scritto: «Se uno ascolta la voce interiore, quella è Dio stesso che parla». Per questo bisognerebbe ascoltare la voce di Dio anziché la voce del Papa, il quale è un’autorità esterna, un uomo come tutti gli altri.

5 - La pratica spirituale e l’autorealizzazione

V - Bisogna armarsi di pazienza ed attendere che Dio parli alla nostra anima, comunicandoci il suo messaggio e la sua volontà su di noi, è così?
A- Dio sussurra dentro di noi quando progrediamo sul sentiero spirituale ma, come già ho detto, bisogna vigilare per non scambiare la voce del diavolo con quella di Dio.

V - Un aspirante all’autorealizzazione deve necessariamente cercare un guru esterno?
A - Per autorealizzarsi c’e bisogno di una pratica e quindi di maestro spirituale, ossia un guru esterno, ma in alcuni casi è sufficiente il guru interno, ossia la voce interiore. Il cosiddetto testimone interiore, Dio stesso, che parla tramite il Sé:«Colui che non è mai nato, non muore ed è eterno». Chi non è ancora capace di comprendere il linguaggio del Sé ha bisogno di dipendere da una persona realizzata che lo istruisce. Il guru esterno dovrebbe essere un ricongiunto con Dio, perciò dovrebbe essere in grado di condividere la sua esperienza spirituale con il discepolo.

Ma un aforisma di Patanjali dice: «Dio è il guru universale eterno che guida e corregge il devoto, perché Dio, il guru, vive nel suo interno». Questo Dio menzionato da Patanjali non è un Dio creatore, personale, come ci insegna la Chiesa cattolica, ma la luce interiore che abita dentro di noi.

Se si è in grado di comprendere il linguaggio del guru interiore non c’è bisogno di cercare un guru esteriore o un dio esterno, liturgico e personale.

V - Perciò Maestro Eckhart dice: «Lasciare Dio per lo stesso Dio?» Egli era un vero guru.
A- Sì, come Ananda May Ma, Ramana Maharishi, Sri Aurobindo, e tanti altri Maestri spirituali dell’Oriente e dell’Occidente.

V - Un’anima immatura spiritualmente, che non ha rapporti con un guru e non conosce nessun maestro che possa guidarla, un anima sola e tormentata spiritualmente, cosa dovrebbe fare per compiere la ricerca di Dio?
A - In questi casi bisogna continuare a cercare, perché Gesù dice: «cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà dato!» Insomma bisogna continuare senza sosta la ricerca, finché prima o poi il nostro sforzo sarà coronato dalla luce interiore che ci guiderà e ci illuminerà. Se non sarà oggi, sarà domani, ma bisogna perseverare nella ricerca finché non ci sarà indicata la via giusta da percorrere che ci permetterà di elevarci all’Eterno. Bisogna considerare che gli uomini sono molto differenti gli uni dagli altri. Ciò che è la via giusta per uno non è la stessa per un altro.

V - Credi all’efficacia della pratica del Tapas, cioè della continua ripetizione del nome di Dio, come praticano anche gli esicasti e i monaci della Chiesa d’Oriente?
A- Anche in questo caso dipende dall’individuo, ci sono alcuni che ricevono un certo aiuto mediante la pratica della ripetizione mantrica, ma bisogna farlo in modo consapevole e non pappagallescamente come si fa con il rosario, che dopo un certo tempo diventa una pratica meccanica. Bisogna cambiare di tanto in tanto la parola o la frase pronunciata, altrimenti, continuando a ripetere sempre la stessa parola, la mente divaga e non produce più effetti. È necessario perciò utilizzare solo per un periodo lo stesso mantra o versetto biblico, per esempio: « Io e il padre siamo la stessa cosa », oppure la ripetizione del nome di Dio, “Gesù”, ecc., dopo un certo tempo bisogna cambiare la frase, o il mantra, per far sì che la mente presti una rinnovata attenzione e non divaghi.

V - Per quanto riguarda la combinazione tra la respirazione e il mantra, si nota spesso che via via che i pensieri diminuiscono e il loro ritmo rallenta diminuisce anche la respirazione e viceversa. Chi non ha la dovuta esperienza quale atteggiamento deve assumere durante la meditazione?

A - La respirazione e la mente hanno lo stesso movimento, quando il respiro rallenta, diventa lungo e fissa la mente proiettiva e velante; quando la respirazione rallenta, o sembra quasi che si fermi, rallenta anche l’attività mentale tumultuosa, perché respirazione e mente sono strettamente collegate, il pensiero muove la respirazione e viceversa.

Bisogna considerare che la respirazione è automatica e segue la mente con il flusso dei pensieri, perciò quanto più forte l’attenzione si dirige su una parola o su un oggetto, tanto più la mente si calma e la corrente dei pensieri rallenta, così rallenta anche la respirazione.

V - Durante la meditazione è meglio osservare il pensiero o la respirazione?
A - È meglio controllare il pensiero, poiché la respirazione è automatica e continua finché viviamo.

Ramana Maharishi fa notare, appunto, che il respiro continua sempre, anche di notte, fa parte della vita inconscia, mentre la recitazione del mantra o l’osservazione è autoconsapevole, cioè cosciente.

V - Per svuotare la mente è meglio la meditazione senza mantra, o comunque un oggetto su cui meditare, cioè solo osservando la corrente dei pensieri?
A - Questo si chiama il dono dell’osservatore: «cosa sto pensando?», vuol dire che la mente pensa e continua a pensare mentre il Sé non interviene e osserva la mente pensante.

Se il Sé non osserva diveniamo schiavi e vittime della mente pensante.

Purtroppo la maggior parte della gente è controllata dalla mente e non è in condizione di controllare la mente tramite il Sé. La gente comune, che non sa osservarsi e lascia divagare la mente, diviene succube di essa. Invece di controllare la mente molte persone sono controllate da essa.

V - Vuoi dire che da questa debolezza dell’uomo provengono tutte le cose negative della vita: droga, suicidi, omicidi, guerre, conflitti vari tra gli uomini?
A - Sì, sì, la mente uccide se non resta sempre sotto osservazione.

V - Secondo me numerosi salmi, i libri sapienziali e il Deuteronomio, si riferiscono al movimento e al controllo mentale ed alla lotta contro i pensieri, come nella Bhagavad Gita. È vero?

A- Certamente i salmi sono il risultato di una riflessione introspettiva, per esempio il primo salmo dice: «Beato l’uomo che non cade nel consiglio degli empi, ma si compiace della legge del Signore».

Questo salmo si basa sull’osservazione di se stessi, invita ad osservare e seguire la legge del Signore, ossia il discernimento dalla via degli empi e dalle vie che il Signore ci mostra.

V - Quindi vuoi dire che bisognerebbe osservarsi continuamente, dalla mattina alla sera?
A - Sì finché quest’attenzione diventa un’abitudine e non c’è più bisogno di osservarsi, perché appena sorge un pensiero scomodo così viene ricacciato automaticamente dalla mente dell’osservatore maturo.

Quando più si avanza nella vita spirituale tanto più l’attenzione aumenta. Mentre nella vita ordinaria è difficile tenere la mente costantemente vigile.

V- Puoi spiegarmi cosa significa “mente pura”?
A - Una mente che ritrova la sua bellezza, ossia la sua originaria purezza cristallina, è purificata dai pensieri e ottiene la liberazione. Invece la mente comune[3] è appesantita e afflitta dalla continua attività dei pensieri inutili e dei desideri.

Perciò le Scritture recitano che l’uomo è stato fatto ad immagine di Dio; Krisna, nella Bhagavad Gita, il poema divino, dice che l’anima è un frammento di Dio stesso.

Ma spesso l’uomo, anziché identificarsi con l’anima e comprendere la sua vera natura, che ha la stessa sostanza di Dio, tende ad identificarsi erroneamente con il suo corpo mortale.

V - Secondo te qual è la vera funzione della mente?
A - I pensieri provengono dai sensi; essi sono captati dalla mente, la quale è come una centrale dove si concentrano le impressioni dei sensi.

L’elaborazione viene fatta dalla mente stessa; con la riflessione e l’auto-osservazione la mente viene corretta e purificata dalle impressioni e quindi indirizzata verso la direzione giusta.

V - Quindi la mente sarebbe un filtro?
A - Sì, la mente è come un centro che elabora le impressioni del passato, del presente, ipotizza il futuro, ecc., con la pratica dell’auto-osservazione costante noi possiamo correggere gli sbagli, la dissipazione e l’estroversione di queste impressioni, educando così la mente al discernimento dell’essenziale, a tendere verso l’unificazione e l’auto-realizzazione, altrimenti si è passibili di auto-distruttività.

Patanjali nella sua filosofia Yoga, scrive:

«La pratica, se continuata per lungo tempo col desiderio (di raggiungere il porto dell’umano pellegrinaggio) diviene stabilmente fissa radicata fermamente nelle profondità interiori».

Dal Commentario di Padre Anthony leggiamo:

Mediante ripetuti, decisi sforzi si formano nella mente forti abitudini che salvano dallo scivolare indietro sulle strade dell’animalità e delle relative tendenze passive, come l’irrequietezza mentale, l’incostanza del cuore, le selvagge passioni di lussuria, avarizia, ira, desiderio, principali nemici della perfezione spirituale. Tutto ciò è controllato mediante gli esercizi spirituali[4].

V - È importante meditare sulla morte?
A - La meditazione sulla morte è importante ma non è necessaria, perché la morte, la nascita e l’esistenza illusoria della vita terrena sono solo fenomeni causali, mentre la meditazione essenziale per lo sviluppo spirituale dovrebbe basarsi sul discernimento del Sé e del non Sé, ossia sulla ricerca dell’essere divino in noi. È fondamentale per l’aspirante coscientizzare la realtà divina per non restare legato all’idea di identificazione: «io sono questo o quello».

È un grande errore identificarci con il corpo animato. Per scoprire la natura divina in noi, e quindi la realtà della nostra anima, bisogna essere animati da una forte volontà e da una buona concentrazione e attenzione interiore, praticando l’auto-osservazione e l’autocritica costante.

V - Quindi il metodo necessario sarebbe il Vic?ra, ossia praticare la riflessione e la ricerca intorno alle domande: «Chi sono io? perché esisto?, io non sono questo corpo, non sono queste mani e questi piedi», come insegna la filosofia Advaita, praticata con successo dal grande saggio Ramana Maharishi. È così?

A - Sì, perché quando facciamo auto-indagine ci allontaniamo dall’io, dall’illusione, dalla maya. Comunemente, senza l’aiuto dell’auto-indagine, restiamo attaccati all’immagine del corpo e diciamo: «Io vado, io vedo, io vengo», ma non riusciamo a razionalizzare che è il corpo “che va, viene e vede”, mentre il Sé rimane testimone immutabile in noi; per questo occorre una ferrea auto-indagine in modo da trascendere l’ego e ritrovare il vero Io, che è Dio. Gesù dice: «Io e il Padre mio siamo la stessa cosa».

I maestri insegnano che è un errore identificarsi con il corpo grossolano, ossia con il piccolo “io”, perché il vero Io superiore, ossia il Sé, via via che progrediamo spiritualmente, emerge automaticamente e ci mostra chiaramente la distinzione tra l’io - corpo e il Sé divino.

In tal modo ci attaccheremo sempre di meno alle manifestazioni apparenti e illusorie, avendo compreso che tutto l’Universo in se stesso è solo un’apparenza.

L’unica cosa reale e duratura è l’Assoluto, perché è immutabile, mentre l’Universo, sottoposto alle legge del mutamento, è apparente.

Shankara dice: «Ciò che è scritto in milioni di libri si può condensare in due parole:

l’unica Realtà è Dio, l’universo è solo un’apparenza».

Noi è Dio abbiamo la stessa natura nell’anima ed è questa unione che bisogna realizzare interiormente.

6 - La Missione Sat Cit Ananda e il monachesimo interiore

V - Quando lascerai il corpo chi assumerà la Missione?
A - Sto formando un gruppo di monaci. Anche tu, se vuoi, puoi associarti.

Questi monaci sono novizi; uno in particolare, molto progredito spiritualmente, va alcune volte all’anno in India. I monaci e le monache si riuniscono qui il primo sabato di ogni mese.

Io lavoro da molti anni per i bambini indiani poveri e emarginati, non hanno nulla, all’inizio è stato difficile provvedere a vestirli, ad alloggiarli e a tutti i loro bisogni, poi, grazie all’aiuto di benefattori e al contributo del governo indiano, ho fondato due case per alloggiarli.

V - Chi si prende cura di loro?
A - I nostri monaci e monache dell’India li accudiscono e li guidano, c’è anche personale residente che insegna, aiutato da studenti esterni.

V - Sono volontari?
A - No! bisogna pagarli perché è una scuola riconosciuta dallo stato, i nostri monaci invece si dedicano alla cura dei bambini per vocazione spirituale.

V - Quale significato ha per te il monaco?
A - Il vero monaco dovrebbe essere interreligioso, aspirante alla Verità ultima non limitato da questa o quella religione. Ho curato un libro che s’intitola “Monachesimo esoterico” (poi rivolto a me mi dice) «Tu sei un esempio di monaco interiore, vai avanti, sei sul sentiero giusto».

L’aspirante alla Verità, ossia colui che si dedica costantemente all’auto-realizzazione, è il vero monaco. La ricerca della Verità dipende molto da noi, con l’aiuto di Dio; nel periodo della nostra permanenza terrena abbiamo la possibilità di seguire la luce interiore, perfezionarci e aspirare allo stato di assolutezza del Vidya[5].

Siamo venuti sulla terra per ritrovare la dimensione divina, che è immanente in noi, poiché in origine siamo la manifestazione e la teofania di Dio.

Ma nello stato di Avidya o ignoranza, noi crediamo di essere questo corpo animato, perciò diciamo: «io sono questo o quello; per esempio: sono buddista, sono cristiano…»

Pensiamo ad affermare tutte queste cose aleatorie e superficiali, non sostanziali, dimenticando il corpo sottile, la nostra vera essenza; dimenticando che la nostra anima è un frammento del divino e, perciò, noi abbiamo il dovere e la capacità di ricongiungerci con Lui. La via unitiva è quella da percorrere in assoluto, disidentificandoci da tutte le cose. Tu sei sulla giusta strada continua così.

V- Sì, ma sono ancora pieno di identificazione con il piccolo "io".
A - Quello viene automaticamente eliminato quando cresce il Sé. Quanto più cresce il Sé, cioè l’auto-realizzazione spirituale, tanto più l’egoismo sparisce e finalmente la nostra vita diventa impersonale. Perciò nel Vangelo di Giovanni leggiamo:«Lui deve crescere e io devo diminuire». Giovanni dice:«Tra voi c’è uno che non conoscete», vuole dire che lui era il Precursore che annunciava la venuta del Maestro, il quale doveva crescere. Egli allude al maestro interiore.

All’inizio della vita spirituale resta una parte di ego, che ci sostiene nella lotta ascetica nel frattempo che cresce il Sé, l’essere interiore che abita in noi, ma poi quando prendiamo coscienza dell’Io superiore, e ne siamo purificati, l’ego viene soppiantato dal Sé e la vita diventa matura e impersonale.

Illuminato così dalla nuova nascita, il realizzato continua a lavorare nella vigna del Signore con più entusiasmo di prima perché non è più legato al nome e alla forma, ma è ormai strumento dell’Eterno.

Quando l’ego del ricercatore sparisce, soppiantato dalla consapevolezza del Sé, allora costui diviene strumento perfetto del Divino. Tramite lui è direttamente Dio che agisce. Il Signore non ha la lingua ma agisce tramite le nostre lingue; non ha le mani, ma agisce tramite le nostre mani, non ha i sensi, ma agisce tramite i nostri sensi. Nella Bhagavad Gita, al capitolo XIII, Krisna dice: «Benché Dio ne sia privo, appare come avente le facoltà dei sensi, è disidentificato da tutto eppure sostiene tutte le cose».

7 - Le Scritture sapienziali

V - È veramente utile meditare e studiare le Sacre Scritture?
A - Sì, per favorire lo sviluppo spirituale è molto utile la meditazione e lo studio delle Sacre Scritture.

Secondo la mia concezione, la denominazione “Sacra scrittura” significa qualsiasi testo che insegni la Verità ultima, ossia che conduca all’illuminazione tramite la pratica dell’auto-purificazione. Sono da citare gli aforismi dello Yoga di Patanjali, il Tao-te-King di Lao tze, le Upanishaden, la Bibbia, i canoni buddisti. Gesù stesso, alludendo a quest’ampiezza di vedute, dice: «Quando conoscerete la Verità, la Verità vi farà liberi».

La Bhagavad Gita è la Scrittura per eccellenza, se la comincerai a frequentare, a meditare e a studiare, sarai elevato a somme altezze spirituali e profondità psicologiche da te fino a questo momento sconosciute. Anche nella Bibbia troviamo testi dalle profondità indicibili. Se queste letture si sanno interpretare nel modo giusto ci guideranno alla comprensione e alla realizzazione del Sé. Ad esempio, le parole di Gesù: «Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue non avrà parte di me», non vanno intese letteralmente, perché lo stesso Gesù in un altro passaggio dice: «La carne non ha importanza ma è lo Spirito che vivifica» (e santifica).

La teologia ufficiale della Chiesa Romana con la parola “transustanziazione” insegna che quando il sacerdote dice: «Questo è il mio corpo», l’ostia (il pane) viene trasformato in corpo di Cristo e, similmente, quando dice: «Questo è il mio sangue», il vino viene trasformato in sangue di Cristo.

Un devoto che crede ciecamente a questo dogma, e riceve la comunione anche ogni giorno, se non mette in pratica il Vangelo rimane tale e quale com’era, mentre uno che mette in pratica le parole di Cristo, che furono dello Spirito santo, “avrà parte di lui”. Costui vivrà in Dio, ossia sarà un auto-realizzato, un santo, un Mahatma (grande anima) come lo furono il Mahatma Gandhi, Satya Sai Baba, Swami Vivekananda e tanti altri grandi Maestri.

L’epoca delle religioni dogmatiche e autoritarie è tramontata, avanza già l’era della ragione, in cui la religione diventa sempre più scientifica e universale.

V - Infatti Gesù dice:« Io devo andare al Padre mio, vi invierò al mio posto lo Spirito Consolatore». Ciò è molto significativo.
Adesso ho da farti un’altra domanda: nella letteratura classica delle Upanisad è fondamentale la meditazione dell’opera: “Vivekakudamani”?

A - Sì, quest’opera è stata tradotta dal sanscritto da Maestro Raphael.

 

V- Come si fa a sopportare le persone moleste che non vogliono comprendere il cammino spirituale?
A - Da parte nostra facciamo ciò che è necessario, cioè ci adoperiamo ad essere in sintonia con il Divino e basta, noi facciamo il nostro dovere, se loro capiscono o non capiscono non è un nostro problema.

Allo stesso modo Gesù venne ad insegnarci il Vangelo, c’è chi lo ha appreso, lo ha interiorizzato e lo ha lasciato fruttificare, quindi lo pratica in ogni momento e chi, invece, lo ha appreso ma non lo ha interiorizzato e non lo mette in pratica. Il risultato, poi, si mostra nella vita quotidiana di ognuno.

San Francesco e sant’Agostino erano intelligenti ma semplici, nella loro gioventù hanno avuto la debolezza delle passioni e quando si sono liberati da esse hanno raggiunto la dimensione divina.

Lo stesso san Paolo fu un fariseo zelante e perseguitava Gesù, ma poi, quando fu illuminato e comprese il significato esoterico del sacrificio, divenne il più fedele seguace del Signore. È stato il più fervido apostolo del Cristianesimo, tanto è vero che se non ci fosse stato lui la Chiesa cristiana, come la conosciamo noi, non sarebbe mai esistita.

Come san Paolo chiunque ha la possibilità diventare strumento perfetto di Dio perché in ognuno di noi, fin dalla nascita, agisce il seme dell’Eterno.

San Francesco dice: «Signore facci strumento della tua pace».

8 - Cristianesimo, Induismo, Teosofia

V - Raphael, “aquilante”, dice che il Cristianesimo insegna solo i piccoli misteri, mentre l’Induismo istruisce sui grandi misteri. È vero?
A - Certo, il Cristianesimo ufficiale è limitato, limitatissimo, porta avanti i dogmi teologici che sono stati negati da Giordano Bruno e da tanti altri maestri dello spirito. Giordano Bruno seguì la ragione, l’intelligenza, la scienza, e propugnò la tesi dell’infinito, per tale motivo fu condannato dall’Inquisizione al rogo allestito a Campo dei fiori a Firenze. Quand’ero studente mi recavo spesso a pregare sul luogo del suo sacrificio.

V - Pensi che l’Induismo davvero istruisca ai grandi misteri?
A - La concezione religiosa e spirituale dell’Induismo è universale e cosmica, perciò molto aperta e tollerante verso le altre tradizioni religiose.

Si può appartenere a qualsiasi fede religiosa, esoterica o spirituale, si può essere atei, monisti o cristiani, dall’Induismo non si viene mai condannati, invece la Chiesa cattolica vede in ogni minima cosa e in ogni idea l’eresia. Il Papa attuale ha una veduta molto ristretta e gnostica della fede, tanto che si crede in diritto di intervenire in tutte le cose. Per questo motivo sono uscito fuori dal contesto ecclesiale e, da molti anni ormai, non ho più rapporti con il Vaticano e la Chiesa ufficiale.

Don Alberione, il fondatore dei Paolini e della Casa editrice san Paolo, quando è venuto in India mi ha invitato per ben due volte ad aderire al suo Ordine, affinché io portassi la cultura religiosa e spirituale dell’induismo in Occidente, ma gli dissi: «Purtroppo non me la sento di aderire al suo Ordine dopo che sono uscito dai domenicani».

Bisogna seguire la luce di Dio anche se porta alla crocifissione, come ha fatto il Mahatma Gandhi.

Le cose favorevoli o sfavorevoli non sono importanti, l’essenziale è che la tua mente, il tuo cuore e la tua anima entrino in sintonia con la volontà di Dio, in modo che Lui ci parli, ci guidi e ci dia la luce. Il prologo del Vangelo di san Giovanni dice: «È la luce vera che illumina tutti gli uomini che vengono in questo mondo, in principio era il Verbo», ossia il Logos, l’Intelligenza cosmica che guida la nostra intelligenza. Noi, come ci insegna Gesù con il suo esempio, dobbiamo avere sempre il coraggio di seguirla, anche quando prevede la crocifissione. Egli dice al Padre: «Padre allontana da me questo calice, ma se tu lo vuoi, sia fatta la tua volontà». Così Gandhi affrontò il suo destino e la morte per mano di un fanatico mussulmano indipendentista.

Gli inglesi, prima di andare via dall’India, fecero del tutto per smembrarla, infatti riuscirono a separare alcune regioni come il Pakistan, lo Sri Lanka e il Bangaladesh.

V - Hai conosciuto il grande saggio Ramana Maharshi?
A - No, non ho avuto occasione di conoscerlo personalmente, ma faccio parte del loro comitato; ho collaborato al loro giornale. Avevo diversi impegni per organizzare la mia missione e salvaguardare i bambini poveri, non ho avuto occasione di andarci. Ma ho collaborato per due anni con la Missione Ramakrishna.

Quando sono stato da Gandhi conobbi Nehru, il quale mi chiese di collaborare alla formazione del primo governo indiano dopo l’indipendenza, ma rifiutai perché la politica non è per me.

V - Cosa pensi della teosofia?
A- Madame Blavatski ha fatto un lavoro enorme, creando una sintesi magistrale di tutto il meglio delle religioni.

Infatti bisogna estrarre ciò che è valido per lo sviluppo spirituale da tutte le tradizioni religiose ed esoteriche, ma ciascuna deve restare così com’è. Noi non dovremmo abbracciare nessuna di esse singolarmente.

Come ogni volto è differente dall’altro, così pure ogni anima, ma l’unicità dell’Eterno viene manifestata in ogni individuo a suo modo. L’impegno essenziale per ogni vero ricercatore spirituale è quello di mantenersi sempre in comunione con l’Eterno, ponendosi in ascolto della sua voce, per questo è necessaria la meditazione almeno due volte al giorno e la conduzione di una vita cosciente e meditativa, senza permettere alla mente di vagare di qua e di là. Per mezzo dell’osservazione interiore bisogna portare la mente sulle diritte vie di Dio.

V - Vuoi dire che bisogna mantenere la mente come un cane fedele e non farsi padroneggiare da essa?
A -Sì, molti cadono vittime della mente, si fanno dipendenti dalle religioni, si sposano, muoiono, fanno le guerre ma pochi si auto-osservano.

Invece, bisognerebbe adoperarsi intensamente per la crescita spirituale e accettare tutto.

V - Cosa vuoi dire chiaramente con accettare tutto?
A - Accettare tutto ciò che ci conduce alla crescita interiore, eliminando ciò che è nocivo da questa crescita.

Nel 1946 non sapevo più quale via spirituale seguire, allora mi recai da Gandhi per chiedergli consiglio. Lui mi disse torna domani che ci penserò. Il giorno dopo mi disse: «Non so cosa dirti, affidati a Dio e Lui certamente ti mostrerà cosa devi fare».

Poi mi disse: «La preghiera e la meditazione hanno salvato la mia vita. La preghiera è necessaria per l’anima come il cibo è importante per il corpo».

Gandhi parlava pochissimo, al massimo dieci minuti con chiunque gli chiedeva un colloquio, egli aveva moltissimo lavoro da svolgere per la sua grande missione. Spesso digiunava e pregava per gli altri, aveva letto i Vangeli e li teneva in grande considerazione cercando di interiorizzarli e praticarli, così come aveva letto e meditato la Bhagavad Gita (Il Canto del beato).

L’autobiografia di Gandhi è intitolata: “I miei esperimenti con la Verità”.

Prima dicevo che Dio è la Verità, adesso dico: «dove è la Verità è Dio, perché tutto è Dio, la realtà unica è Dio; Egli è immutabile ed eterno, tutto il resto è solo illusione, perché soggetto al mutamento e quindi destinato a scomparire».

Durante la nostra breve vita noi dovremmo seguire la via tracciata dai grandi maestri dello spirito, essa dovrebbe essere il nostro punto di riferimento, come la stella che indica il cammino ai Magi. Finché si è su questa Terra bisogna lavorare con impegno per il proprio sviluppo spirituale per avvicinarsi a Dio. La vita è molto breve, io sono ormai giunto all’età di 94 anni[6].

V- Speriamo che la tua vita terrena durerà ancora a lungo.
A - Sono giunto a quest’età grazie allo yoga, perché non ho dissipato l’energia interiore.

9 - Il significato della morte e dell’anima

V - Al tramonto della tua vita, dopo tante numerose esperienze interiori ed esteriori hai scoperto il significato della morte?
A - La morte è una grande maestra. Se la vita è maestra con le sue molteplici esperienze, la morte è una maestra ancor più grande, poiché sta al termine di questa vita effimera e all’inizio di quella futura.

San Paolo dice: «Io muoio ogni giorno», alludendo al distacco quotidiano dalle cose mortali e al conseguente radicamento nella Vita in Dio, nello Spirito Santo, nel Nous, nel Logos che opera in noi, il quale ci illumina, ci guida e ci istruisce circa i misteri della vita e della morte, del tempo e dell’eternità, della virtù e del vizio, della luce e delle tenebre.

La morte stessa, che appare come conseguenza del nostro seppellimento in un corpo, trascende invece ogni dualismo e ci libera per sempre dal suo pungiglione, restituendoci all’immortalità. Così, in effetti, essa trascende la materia grossolana e sottile, i sensi e la mente, è, va anche al di là dei nomi e delle forme, restituendoci alla pura Esistenza e alla pura Gioia, che è Saccidananda. Tu sei Quello- Tat tvam asi.

V - Un ultima domanda prima di concludere: il tuo pensiero sull’anima
A - L’anima non nasce e non muore, Sri Krishna nella Bhagavad Gita (cap. XV.7) insegna che l’anima essendo un frammento di Dio è eterna e immortale.

Con la morte l’anima cambia solo residenza, poiché riceve un corpo determinato dalla legge karmica.

L’anima non nasce e non muore, solo il corpo nasce e muore. Il ciclo delle morti e delle nascite del corpo continua fino a quando l’anima non si sia del tutto liberata dall’ignoranza (avidya) e quindi meritevole dell’unione con l’Anima universale (che i cristiani chiamano Dio).

I pensieri, le parole, le opere e tutte le impressioni della nostra vita determinano le vite successive che si svolgeranno su questa Terra o in qualche altro pianeta dell’immenso universo. La legge del karma è inviolabile, inesorabile e funziona con una precisione matematica.

La morte non è altro che la separazione dell’anima individuale dal corpo animato, che abbiamo ricevuto secondo l’operato dalle vite precedenti.

L’anima, intrinsecamente immortale, essendo “un frammento di Dio” è anche la totalità di Dio, come spiega Aristotele nel suo trattato sull’anima: «Tutta l’anima umana risiede in tutto il corpo, ed anche in qualsiasi parte del corpo, come l’Anima universale vive e vibra in tutto l’universo e in qualsiasi luogo dell’universo».

L’anima, dunque, non nasce e non muore, ma funziona, guida e vivifica il corpo.

Secondo la filosofia della vita di Sri Krishna nella Bhagavad Gita (capitolo VII) “soltanto l’anima (il principio vitale) è la Natura Superiore di Dio, mentre tutto il resto è considerato come Natura inferiore di Dio”.

L’anima, il principio vitale, non è altro che la Coscienza, ossia la Consapevolezza, che regge l’intero universo.

Quando noi viviamo nell’ignoranza, cioè identificandoci col corpo animato (vivente), non riusciamo a comprendere l’immortalità dell’anima, ma quando sperimentiamo la pura Coscienza dentro di noi, tramite l’effetto della meditazione, comprendiamo chiaramente la netta distinzione tra il corpo mortale e l’anima eterna ed immortale.

10 - L’importanza del voto di castità, la corruzione e la pedofilia nella Chiesa cattolica[7]; il nervo Meddha

V - In questi giorni nella Chiesa cattolica dilagano gli scandali di pedofilia, cosa ne pensi?
Qual’è il motivo che tanti sacerdoti sono pedofili?

A - È naturale che il clero della Chiesa cattolica ufficiale, dogmatica e cesaro-papista, avendo messo da parte l’essenza spirituale interreligiosa fondata sull’auto-conoscenza, l’auto-catarsi e l’auto-realizzazione, attraverso le manifestazioni esteriori e cervellotiche come i dogmi, le cerimonie e le celebrazioni della santa Messa, abbia perduto la capacità di una rinascita spirituale, senza la quale l’osservanza della virtù e del voto di castità è pressoché impossibile.

Gesù disse a Nicodemo: «Se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».

E Nicodemo stupito, gli chiese: «Posso io ritornare al seno materno e nascere di nuovo?, a sua volta Gesù rispose: Se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare nel regno di Dio. Ciò che è nato dalla carne è carne e ciò che è nato dallo Spirito è Spirito» (Gv 3, 6).

Nella Missione Ramakrishna, nel monachesimo buddista, ed altrove, la condizione essenziale per essere accettati è la stretta osservanza del voto di castità (Brahmacharrya), nel cattolicesimo Romano il voto di castità esiste nominalmente, ma in effetti non viene praticato dal clero secolare. Ecco perché la pedofilia sta aumentando a dismisura nella Chiesa cattolica.

Nella Chiesa protestante, come l’anglicana e la luterana, il matrimonio o il celibato è lasciato alla coscienza individuale dei componenti del loro clero.

Il casto matrimonio è preferibile al celibato imposto da fuori. Il Mahatma Gandhi prese il voto di castità all’età di trentasei anni, dopo aver constatato che era necessario per raggiungere la perfezione spirituale, mettendo in pratica le parole di Cristo: «Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste».

La Chiesa cattolica sta perdendo la sua missione originaria in questo mondo globalizzato in cui esiste sempre più la possibilità di paragonare le religioni e vederle come parte di un’unica famiglia umana.

Il voto di castità può essere osservato solo da chi ne è convinto. Sant’Agostino ebbe un figlio da una ragazza quando egli era appena diciottenne. Ma quando abbracciò il Vangelo di Cristo osservò sempre strettamente il voto di castità, che fu anche il voto principale dell’ordine monastico da lui fondato, gli agostiniani.

Finché non si ottiene l’esperienza della visione di Dio non è possibile osservare il voto di castità. Gesù dice: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio». Ci vuole una preparazione etica e spirituale non indifferente per poter osservare con naturalezza il voto di castità. Non è una cosa facile! Altrimenti i casi di pedofilia e di corruzione carnale aumentano sempre di più.

V – Nella tua interessantissima opera: “Monachesimo esoterico”, c’è un lungo capitolo dedicato alla castità, dal quale ho riportato alcuni brani nella parte antologica di questo lavoro, in cui si parla specificamente di un nervo, che si chiama “Medha”, che si svilupperebbe dopo un periodo prolungato di castità. Questo nervo è fisiologico, cioè una realtà fisica, oppure è solo psicologico?

A - Già Sri Ramakrisna Paramahamsa di Dakshinewar, Kolicutta (Calcutta), era convinto che la divinizzazione dell’uomo avviene grazie all’immacolata castità e in questo contesto ha parlato di un nervo segreto latente in ciascuno di noi che si svilupperebbe proporzionalmente al grado di castità che uno ha raggiunto nella vita. Quando ero membro dell’Istituto di cultura della Missione Ramakrishna chiesi al segretario-fondatore, Swami Nityaswarupaananda, che cosa fosse in realtà il nervo “Medha” di cui aveva parlato Sri Ramakrishna, egli così mi rispose: «Vi sono tanti poteri nascosti nell’uomo, poteri psichici che si manifestano fisicamente man mano che un dato individuo progredisce spiritualmente; spiritualità in cui la castità assoluta ne è il fondamento. Per questa ragione, nella nostra Missione Ramakrishna i candidati fanno un unico voto di castità (Brahmacarya) che include tutte le virtù necessarie per raggiungere la perfezione spirituale». Anche Gesù Cristo ha detto: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».

Allora il nervo “Medha”, di cui ci ha parlato Sri Ramakrishna, è un fattore più psicologico anziché una realtà fisica vera e propria, ma non è escluso che potrebbe anche trattarsi di un nervo nascosto dal quale vengono manifestati i poteri spirituali.

Patanjali dice: «Con l’osservanza della castità si acquistano poteri (sovrannaturali).[8] Nella nascita spirituale dell’uomo, ossia quando l’anima, dopo un lungo pellegrinaggio interiore, si purifica e acquisisce lo Spirito Divino, come dice la Bhagavad Gita, il frammento di Dio in noi si unisce con la Coscienza Divina Universale e avviene così la seconda nascita. Ciò può essere solo possibile osservando la castità assoluta».

Il nervo "Medha", di cui ci ha parlato Sri Ramakrishna, è probabilmente un fattore psico-fisico latente in tutte le persone, tocca a noi svilupparlo osservando la castità.

Nel mese di dicembre del 1946 ebbi la fortuna di poter lavorare con Gandhi, vidi il Mahatma pieno di splendore. Certamente quella luce che emanava dalla sua figura era il risultato della lunga pratica della castità.

[1] Uno dei più significativi filosofi e santi dell’India (788-820) codificatore dell’Advaita Vedanta.

[2] È il titolo di un suo libro, qui riportato nella bibliografia generale e nella parte antologica.

[3] Per mente comune s’intende quella non allenata alla riflessione e all’osservazione interiore (n.d.c.).

[4] Filosofia Yoga di Patanjali, cit., Sutra 14, p. 62.

[5] Significa stato di conoscenza perfetta, al di fuori dall’ignoranza delle illusioni (n.d.c.).

[6] Sono trascorsi ormai tre anni da quando gli feci l’intervista (n.d.c.).

[7] Nell’inverno e nella primavera del 2010 la stampa e i media ci informano sul dilagare della pedofilia nella Chiesa cattolica. Ho rivolto questa domanda a Padre Anthony per posta elettronica, il quale mi ha risposto rapidamente (n.d.c.).

[8] Yoga aforismi di Patanajali, II,38.